La più famosa rappresentazione della Trinità, nella storia dell’arte, è costituita da una bellissima icona russa quattrocentesca, realizzata da Andrej Rublëv (1360 ca.-1430 ca.), celebrato pittore, iconografo e miniaturista. Di questo artista, così tanto apprezzato in Russia, in verità conosciamo pochissimo, avendo di lui notizie solo frammentarie. Era monaco e lavorò in numerose cattedrali russe, che decorò con icone e affreschi. È anche venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa.
Andrej Rublëv in una icona moderna, rappresentato con la sua Icona della Trinità in mano.
La sua più celebre icona, quella con l’Ospitalità di Abramo, identificata però con la Trinità, fu realizzata probabilmente attorno al 1422. Essa è oggi definita, per la sua bellezza e importanza, l’Icona delle icone.
Questo capolavoro venne dipinto (anzi “scritto”, perché correttamente si usa dire che le icone vengono scritte, non dipinte) in occasione della canonizzazione del fondatore del Monastero della Trinità di San Sergio, dove Rublëv viveva.
Le tre Persone e i molti simboli
Le tre Persone della Trinità vengono mostrate in forma angelica, sono dotate di aureola e siedono attorno a un tavolo, su cui è posata una coppa. Hanno tutte espressioni dolcissime e compiono gesti aggraziati. La loro posizione è tale da iscriverle all’interno di una ideale circonferenza, simbolo di perfezione divina. All’interno di tale circonferenza ideale è possibile scorgere anche un ideale triangolo inscritto, altro simbolo trinitario, i cui lati lambiscono la figura centrale.
Le tre persone sono identiche fra di loro ma anche distinte, grazie soprattutto alle vesti, che presentano colori differenti e ci consentirebbero di identificarle: infatti, il rosso, simbolo di sacrificio e di umanità, ci fa riconoscere Gesù al centro, mentre il verde, simbolo del rinnovamento della vita, è il colore dello Spirito Santo, a destra. Il blu, simbolo della vita eterna, identifica Dio Padre a sinistra, coperto da un manto rosa-oro simbolo di regalità. Di ciò sono convinti molti autorevoli storici dell’arte, esperti di icone, che osservano che tale posizione corrisponde anche all’ordine rigoroso del Credo: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Dio Padre, unico fra i tre, leva la mano come per dare un ordine, giacché tutto procede da Lui, e indica la coppa al centro del tavolo, la quale è sicuramente il calice eucaristico, simbolo del sacrificio di Cristo ma anche di salvezza per l’umanità. Le altre due Persone hanno invece l’atteggiamento di chi accetta e la figura al centro, Cristo appunto, sembra a sua volta benedire la coppa.
La seconda coppa
L’immagine di una seconda coppa, molto più grande, è formata dai profili interni dei due angeli ai lati, come a dire che il sacrificio del Figlio è comunque condiviso dall’Amore trinitario.
Il fondo oro simboleggia la luce divina in cui le tre Persone sono immerse. L’albero alle spalle di Cristo potrebbe alludere al legno della Croce, nuovo albero della vita. L’edificio in alto a sinistra potrebbe simboleggiare il Tempio di Gerusalemme oppure la Chiesa, che è la Casa del Padre. La finestrella rettangolare aperta sulla faccia anteriore del tavolo permette di identificarlo con un altare: si tratta, infatti, della “finestra della confessione”, cioè di quell’apertura presente su molti altari medioevali che permetteva di guardare le spoglie del martire custodite sotto di esso o al suo interno.
La prospettiva inversa
La scena non è prospetticamente concepita, giacché non racconta un episodio avvenuto sulla terra ma rimanda a una dimensione puramente spirituale. Anzi, la prospettiva utilizzata è deliberatamente sbagliata (si parla di prospettiva inversa) giacché nel mondo artistico delle icone non è lo spettatore a entrare idealmente nel quadro ma al contrario è l’immagine sacra a invadere il nostro mondo materiale. Le icone sono infatti ideali finestre che mettono in comunicazione la realtà materiale in cui viviamo con la dimensione puramente spirituale del divino, il quale, da tale apertura, “entra” a partecipare della nostra vita.
Si noterà, infatti, che le linee dei troni laterali e delle relative pedane non convergono verso un punto di fuga posto all’orizzonte della scena ma, al contrario, tendono a un punto che si trova in basso, dalla parte dell’osservatore. Inoltre, la figura centrale, pur essendo posta dietro il tavolo e dunque in secondo piano, ha le medesime dimensioni delle altre due.
Un modello indiscusso
L’Icona della Trinità di Rublëv, icona delle icone, è stata adottata come indiscusso modello per le generazioni successive di iconografi. Riprodotta in migliaia di esemplari, praticamente identici, è ancora oggi proposta alla venerazione dei fedeli.
Non dobbiamo mai dimenticare che nel mondo artistico delle icone ha poco senso parlare di originali, varianti e copie: solo l’immagine in sé conta, giacché essa «è espressione di Bellezza e la Bellezza è Dio. Gli iconografi considerano le icone sacre come il genere più alto dell’arte in generale, così come la Bibbia costituisce il massimo genere letterario.
Ecco perché la tradizione vuole che gli iconografi non mettano mai la propria firma sulle proprie opere, in quanto le icone non appartengono ad essi ma solamente a Lui» (E.Morisco, iconografo contemporaneo). Ciò valeva in età bizantina, continuò a valere nei secoli successivi, vale ancora oggi. Dipingere le icone (anzi, “scrivere” le icone) non è solo un mestiere, non è solo un’arte, è prima di tutto un atto di fede, una forma di inesausta preghiera.