Signore, perché rimettermi a pensare tutto ciò questa sera?
La mia famiglia di un tempo, i nostri torti reciproci e questa separazione definitiva…
E’ storia antica.
Sono ormai tanti anni che ci siamo lasciati, sono ormai tanti anni che io sono partito per non tornare più.
Il piacere di vivere di nuovo insieme è morto ora, morto da una parte e dall’altra.
Il fosso è troppo profondo in questo momento perché una qualche buona volontà possa colmarlo.
Quando ci si lascia con una scena violenta, c’è ancora qualche speranza.
Ma poi ci siamo lasciati senza rumore.
Perchè‚ far rumore? L’amore era morto. Gli altri ed io stavamo per metter fine alla sua lenta agonia.
Un’agonia di venti anni, nutrita dalla nostra incurabile stupidità, la loro e la mia.
Venti anni di piccoli urti impercettibili, di piccolissime incomprensioni – sì, di cose da nulla, ma cose da nulla mortali per l’amore.
Signore, è troppo tardi.
Ora siamo troppo lontani.
Ed abbiamo preso l’abitudine, la triste abitudine di non rivederci più.
Uno slancio buono risveglierebbe le nostre sofferenze.
Non possiamo più comportarci come se ciò che è stato non fosse mai accaduto: era “prima” che dovevamo accorgercene, prima, quando avevamo ancora il tempo di amarci.
Ci sono delle situazioni, Signore, tu lo sai, in cui l’amore esige il silenzio, il silenzio per sempre, nella pace.
Bisogna aspettare che tu accomodi ogni cosa.
Più tardi, molto più tardi, e indubbiamente fuori da questo mondo, dove, nonostante il perdono che ci si accorda senza vederci, tutto ci separa e per sempre.
“Non dovremmo mai odiarci; abbiamo già così poco tempo per amarci…” (Maxence Van der Meersch)
Ma, Signore, accorda a loro come a me, di non confondere la rassegnazione con l’indifferenza.
Fa che sopportiamo, io e loro, con coraggio forte e fino alla fine, il rimpianto di non aver amato abbastanza.