La riflessione di questa grande celebrazione prende spunto da una catechesi che abbiamo già ascoltato durante le messe del mese di maggio dell’anno scorso , dal testo di don Luigi Epicoco (solo i malati guariscono) sul tema proprio del giovedì santo.
Il centro della liturgia di oggi è l’altare, la tavola.
Pensiamo per un attimo alle nostre feste in famiglia o anche ai giorni feriali. Cosa simboleggia lo stare a tavola?
È un momento di relazione, di rapporti.
Quando c è un ospite, infatti, è buona educazione che nessuno si alza da tavola e va in un’altra stanza o peggio, come avviene sia per adulti che giovani, stare al telefono.
Gesù ha iniziato i suoi miracoli proprio ad una tavola, le nozze di Cana, il cambio dell’acqua in vino. Nel momento in cui la festa stava per concludersi Lui, invece, offre il vino che simboleggia il prolungamento della gioia, la gioia di vivere.
Nell’ultima cena, avviene il miracolo della Transustanziazione (il pane e vino diventano il corpo e sangue di Gesù), offre oltre la gioia del vivere, il senso della vita.
Cosa avviene in questa cena?
La condivisione: ”La fede non è un pasto che va consumato in solitudine”. (Don Epicoco)
La difficoltà che viviamo noi cristiani, anche come cittadini, è che non abbiamo fiducia nelle relazioni, non condividiamo e, soprattutto, non accettiamo il sacrificio dello stare insieme.
In chiesa a volte vedo che non ci si alza nemmeno dal banco per cedere il posto ad un’altra persona.
“La società (cooperativa) deve essere dispari, ma tre sono già troppi” è un proverbio italiano che racchiude in sé il modus operandi riguardante le dinamiche dei rapporti umani. Questo detto, pur nella sua apparente semplicità, tocca profondamente le complessità delle relazioni sociali e interpersonali, suggerendo che, quando si tratta di amicizia o di affari, un gruppo di tre persone può spesso diventare problematico.
Gesù va oltre questi schemi e categorie umane che legano più a se stessi e, quindi, ostacolano il lavoro del fare comunità.
Nella comunione dobbiamo essere liberi di scegliere, come hanno fatto gli Apostoli che nonostante le loro differenti vedute, non solo Giuda che ha tradito, ma poi anche Pietro che ha rinnegato e gli altri che sono scappati o si sono messi a dormire nel momento della veglia al Getsemani.
Noi non scegliamo una comunità, ma ci siamo.
Questo è un concetto importante da capire.
È il passo centrale di tutta questa celebrazione.
Non siamo qui per caso. Dio ci invita ad essere protagonisti in questa comunità.
Come non scegliamo chi debbano essere i nostri genitori, così non possiamo scegliere di essere solo comunità con chi vogliamo.
Gesù ha offerto il suo sacrificio per “tutti”.
Come riporta la liturgia eucaristica: ” Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me.”
Ma prima di tutto questo, Gesù offre all’uomo la scelta di vivere in Lui in libertà. Come la viviamo questa libertà?
La lavanda dei piedi, cos’è se non questa purificazione?
“I piedi sono il simbolo di tutto quello che percorriamo con la nostra vita. Lavarli significa liberarsi di tutta quella terra, molto spesso fatta di dolore, che ci è rimasta attaccata addosso. Solo quando uno ha preso questa distanza significativa dalla propria storia, può sedersi a tavola con Gesù e ascoltarlo”. (don Epicoco)
Senza questa libertà, l’uomo rimarrà legato alla sola “fame del mondo”, alla fame del corpo.
Cercherà soddisfazione da questo mondo, ma rimarrà sempre più vuoto , affamato e assetato dal gusto per la vita.
