Oggi celebriamo la 26^ domenica del tempo ordinario. La parola di Dio è molto forte e ci invita a prendere in seria considerazione la nostra testimonianza di fede.
Quante volte rischiamo di non comprendere il danno della nostra non buona testimonianza!
L’ultima domenica di agosto riportavo un pensiero di Bernanos:
”Si valicano le montagne e si inciampa in un sasso”.
Spesso facciamo davvero tanto, ma poi basta un niente per far crollare tutto.
I santi che oggi festeggiamo, Cosma e Damiano, hanno vissuto la fede non solo nel curare il corpo degli ammalati che chiedevano il loro aiuto ma hanno accompagnato questo aiuto con la testimonianza della loro fede. Hanno vissuto una fede fatta di incontri, di volti.
Nel volto del povero, hanno riconosciuto il volto di Cristo perché l’ammalato è un povero.
Si sono fatti risposta ad un bisogno.
“Chiunque infatti vi darà d bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà al sua ricompensa”
Spesso abbiamo ripetuto questo passo del Vangelo, perché nella sua semplicità esprime il dono della carità:Essere risposta ad un bisogno:La sete e la fame di Dio.
La santità non è altro che questo testimoniare all’altro l’amore ricevuto,
un amore non limitato ad un dono ma condivisione.
Pensate al perdono, a questa testimonianza di vita vera di una fede che si concretizza e che per i più piccoli è un dono.
Spesso nelle nostre famiglie educhiamo i nostri figli a non parlare con i cuginetti perché noi non ci parliamo con i loro genitori.
“Ero adirato con mio fratello: Ne parlai e l’ira svanì. Ero adirato con un mio nemico: non ne parlai e l’ira crebbe”. (William Blake)
I santi medici sono anche martiri. Hanno vissuto una fede vera e concreta, hanno perdonato i loro persecutori e, nello stesso tempo, hanno continuato ad avere il dono di essere cristiani non preoccupandosi della persecuzione che ricevevano, altrimenti sarebbe come fare la carità solo quando tutto procede senza ostacoli. La carità ha il suo vero senso nel momento in cui bisogna rischiare.
Nel momento della pandemia, pensiamo a quanti si sono chiusi e a quanti, invece, hanno rischiato.
Quando si va a fare visita ad una persona?
Quando tutto è tranquillo o nel momento della sofferenza quando ha più bisogno della nostra compagnia?
La carità è preceduta dalla giustizia:”Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni.!Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del signore”.(Seconda lettura)
Oggi è anche la giornata del migrante e del rifugiato. Pensiamo a come viviamo la nostra fede nella carità!
Prima di tutto che ci sia la giustizia e poi la carità.
Amare il prossimo non è un’ideologia, come si dice spesso nei confronti dei profughi: Bisogna accoglierli, condividere, ecc…
Bisogna essere concreti. Non gli altri, ma noi dobbiamo aprire le porte.
La carità è la prima testimonianza.
Il nostro Papa ci provoca sempre in questo. Come mi insegnano alcuni confratelli:”Non basta sapere a memoria le frasi del vangelo o del Papa, per dire che siamo cristiani. Questo ricordare deve diventare memoria, cioè attualità”.
Basta anche un piccolo gesto. I piccoli non imparano dai discorsi ma dai gesti degli adulti, sia nel bene che nel male.
Chi porta con sé un brutto ricordo, che diventi occasione per viverlo nel bene!
Che il male ricevuto non si ripeta, anzi diventi occasione per averlo vissuto personalmente, affinché l’altro non lo riviva!
Se io ho vissuto la fame, non è bene che l’altro lo faccia, pensando che così crescerà più forte. Spesso degli immigrati si dice: ”Anche noi abbiamo vissuto la solitudine ecc…” anzi, al contrario, che gli altri possano ricevere ciò che io non ho ricevuto!