Di fronte alla morte ci poniamo con una certa razionalità,cercando di convincerci che in tutto c’è un senso. Facciamo questo quando tutto può apparire normale: Sarà per l’età, per una lunga malattia o perché conosciamo la persona solo di vista.
Di fronte al dramma di una persona che conosciamo, al di là dell’essere giovane o meno come lo è stato per il nostro fratello Enzo, ci si pongono alcune domande come per volerci giustificare.
“Avrei potuto pensare di dire o di fare questo, avrei dovuto capire o intuire ecc..”
Io penso che la prima ed unica risposta che possiamo dare a tutto questo, è la preghiera.
Non si tratta di una consolazione sentimentale, ma di quella certezza che Dio è misericordia e, quindi, accoglienza del dramma che affligge ogni uomo che soffre.
Il dramma del domandarsi ogni giorno, di accettare una sofferenza che ti conduce passo dopo passo ad un’infermità che ti costringe a dipendere dagli altri. Un dramma che ci pone in ricerca di una risposta sempre più concreta, una risposta che si fa vera.
La misericordia di Dio si fa carne, si fa presenza in una compagnia che noi accogliamo come aiuto in un cammino.
La misericordia di Dio è quell’amore che ci sostiene di fronte a quella pressante e inquieta domanda:”Perché io?”
Il dramma del dolore ti coinvolge in tutto, frena la speranza del domani perché nell’avvenire vedi, purtroppo, una porta che si chiude invece di aprirsi al nuovo.
Questo nuovo genera paura e timore di non farcela.
Noi stessi, abbiamo paura di ciò che sarà il domani. Solo nella fede possiamo ritrovare quella speranza che si fa luce sul buio che, a volte, è come se coprisse il cielo che illumina la nostra vita.
Nella Via Crucis del venerdì santo di quest’anno, abbiamo meditato un passo del Curato d’Ars che consolava una donna che aveva perso il marito suicida nel fiume. Egli disse:”Tra il ponte e il fiume, c’è la misericordia di Dio”. Siamo sempre in attesa di ciò che sarà il domani. Quella trepidazione ci fa pensare e sperare e, nello stesso tempo, ci fa credere che Dio apre la via offendo il Figlio come meta e luce sui nostri passi.
Perché questa speranza ci coinvolge in tutto ciò che noi viviamo?
”Niente dà a un uomo la stessa forza di resistenza alle avversità e al dolore di una speranza cristiana”.( Borgna)
La nostra comunità esprime tutto il suo dolore e cordoglio alla famiglia.
Ci dispiace per questo dolore che coinvolge ogni nostro sentimento.
E’ una storia che ci appartiene. E’ una domanda che ci poniamo anche noi, sul senso e sul valore stesso che diamo alla vita.
Cristo soffre con noi perché apparteniamo a Lui. Si fa credibile più che mai ora, in questo momento in cui tutto si conclude, in cui tutto sembra ormai arrivato al passo finale, come a voler lasciare questa terra nel silenzio.
Ora si alza la nostra voce, per dirti:”Caro Enzo ti vogliamo bene”.
Viviamo nel nostro silenzio quella domanda che spesso ci poniamo, quando arriva una notizia da noi non desiderata.
La nostra anima non è mai stata così amata da Colui che ce l’ha data.
Ora più che mai mi sembra appropriato rivolgere al nostro fratello Enzo la parafrasi della poesia di Leopardi “Infinito”.
Ho sempre amato questo colle solitario
e questa siepe che impedisce al mio sguardo
di scorgere l’interezza dell’estremo orizzonte.
Ma quando sono qui seduto e guardo, comincio
a immaginarmi spazi sterminati al di là di essa,
e un silenzio sovrumano e una pace abissale,
fin quasi a sentire il cuore tremante di paura.
E non appena sento il fruscio degli alberi carezzati
dal vento, questa voce paragono
a quel silenzio infinito:E d’improvviso nella mia mente
affiora l’eternità e tutte le ere ormai trascorse,
e quella presente, viva, con la sua voce.
Così il mio pensiero è sommerso in quest’immensità
ed è dolce, per me, inabissarmi in questo mare.