mercoledì, 30 Ottobre 2024
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Omelia Domenica 7 Aprile 2024 (Domenica della Divina Misericordia Anno B)


La festa della divina misericordia che celebriamo dopo la festa della Pasqua, è la domenica in cui, in un certo senso, viviamo anche noi la storia dei due discepoli di Emmaus che abbiamo più volte letto e meditato dal vangelo ed oggi la storia dell’incredulità degli apostoli e dell’apostolo Tommaso in particolare.
Innanzitutto la bellezza dell’incontro.
Gli apostoli vivono un momento particolare della loro vita. E’ il momento in cui la loro fede è come se fosse in crisi.
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”
Stavano chiusi. Avevano paura. Si sentono come abbandonati.
Come già nella seconda domenica di quaresima, dopo la lettura del vangelo della Trasfigurazione di N.S.G.C., vi dicevo che la fede è il passaggio dal credere in Gesù, al Cristo. Ricordo anche oggi che la fede è il vivere un cammino nella speranza della presenza di Cristo nella nostra vita, anche quando la speranza di viverlo come compagnia, ci chiede la fede del credere anche senza vedere.
Dicevo prima che anche gli apostoli non credono:” Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore”. Hanno creduto dopo aver visto.
Ho sempre pensato che la Misericordia sia anche questo: Che il Signore viene incontro alla nostra incredulità, mostrandoci dei segni.
Infine c’è la nostra storia, la “non fede” di Tommaso.
È la nostra storia perché il vero credere ci mette sempre in gioco.
Mi piace riportare sempre quel pensiero del card. Martini: ”Nel cuore di ogni credente c’è un non credente”.
Questo conflitto ci fa muovere il cuore.
Tommaso che chiede una certezza mi fa pensare anche a un altro aspetto: ”Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo….” Lui non crede alla parola dei suoi amici, non crede ad un’amicizia di anni.
È il dramma della solitudine.
Pensiamo a tutte le volte che ci avviciniamo a portare conforto a chi soffre. Eppure non c’è parola o gesto che possa consolarlo. Penso al vangelo che leggiamo nella memoria strage degli Innocenti dopo Natale:
Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».
La misericordia si fa amicizia, si fa affettività, quando Gesù ritorna una seconda volta e incontra l’apostolo Tommaso: ”Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».
Non lo rimprovera. Gli offre un segno. Una certezza che ora l’apostolo vive e diventa fede :”Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»
La misericordia si offre a noi come risposta ad un bisogno.
Alimentiamo questo bisogno. Il non credente che è in noi, diventi stimolo al credente che è in noi.
Una fede è viva se è ricerca.
“Dove mi arresterò mai con me stesso? Giungeremo alla fine che avremo ancora questi occhi di febbre che cercheranno sempre ‘’.(Cesare Pavese)