Il vangelo di questa domenica è una pagina che, con altri termini, diremmo che “ci spiazza”.
È quella pagina del Vangelo che vorremmo “saltare”, che non ci fosse proprio, perché differente dalle parabole a cui, a volte, diamo una nostra personale interpretazione.
Qui, invece, ci ritroviamo in gioco con noi stessi e ci domandiamo veramente cos’è la nostra fede nei confronti con la realtà.
Ascoltiamo passi come:” Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”.
Oppure :” Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano”.
La provocazione del Vangelo è unica, perché ti porta ad una domanda seria:”Dov’è la tua novità?”
Nel mese di Gennaio vi riportavo il paragone di colui che non paga gli operai perché si sente tranquillo nella sua devozione.
Ma se non c’è un passo concreto nella realtà, la nostra fede è solo devozionalismo.
Colui che dice di fare la carità, di rinunciare a questo o a quest’altro per darlo solo ai figli, deve sapere che questo è un “dovere” .
Non facciamo passare questo per carità.
Accogliere l’altro nel nome di Cristo: Questa è la carità.
Un santo domenicano, il Beato Alvaro da Cordoba, una volta prese con sé un povero lebbroso e lo coprì con il suo mantello. Appena arrivò al convento, quando scoprì il mantello, si ritrovò con un crocefisso ligneo.
Gesù ci educa ad una continua novità nella vita, perché dobbiamo lasciare quel segno nuovo, altrimenti rimarrà tutto uguale.
Dobbiamo essere una Comunità in Comunione, come lo trovate scritto proprio all’entrata della nostra chiesa, sullo zerbino:
”Comunità in Comunione”.
Il nostro Papa emerito, Benedetto XVI, diceva:”Le nostre divisioni contrastano con la volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini”.
Essere testimoni dell’amore. Essere e fare la differenza:
” E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso”.
Domenica scorsa abbiamo meditato le Beatitudini.
Quando Gesù insegna:”Beat i costruttori di pace”, non significa “Stare in pace”, ma proporre e vivere la pace, vivere, cioè, quello che abbiamo ascoltato dal Vangelo di oggi:
”A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro”.
La pace non si costruisce facendo la guerra o portando rancore o odio.
La pace è una mano che tendi verso l’altro.
È il perdono.
“Quando dal filo spinato fioriranno le rose, allora soltanto saranno finite tutte le guerre”. (Gomez De La Serne)
La mia esperienza insegna che, spesso, confondiamo la tolleranza con l’accoglienza.
Cristo , come già vi riportavo nell’editoriale del nostro giornale di gennaio, ha accolto l’uomo. Ha incontrato Matteo. Sapeva quello che era e ciò che faceva, ma ha guardato l’uomo e ha dato a lui la scelta di essere un nuovo uomo in Cristo. Questo è ciò che avviene nella fede.