Bello essere qui con voi in una realtà che oggi vive il dramma di ieri per voi e, in particolare, per i nostri padri: Il dramma di aver lasciato ciò che abbiamo di più caro: Gli affetti, l’infanzia, la gioia di appartenere ad una comunità, il dramma che tutt’ora tanti popoli vivono, con la speranza di un qualcosa di nuovo che verrà: La ricerca di un senso da offrire per un amore più grande, perché nessuno ama lasciare dietro ciò che fa parte del proprio cuore.
Viviamo la scelta di essere una comunità, diremmo, più allargata.
Siamo testimoni non di una cultura popolare. Non siamo venuti qui per insegnare a cucinare o a come si fa questo o quest’altro. Siamo qui per vivere l’educazione che ci hanno dato, la cultura dell’accoglienza che non si costruisce subito. Noi viviamo il frutto del sacrificio di chi prima di noi ha vissuto anche il dramma della solitudine. Alcuni amici, mi raccontavano del tempo passato alla stazione, come legame verso un sogno di ritornare.
Quando ero ragazzo, ricordo che un mio compaesano mi raccontava la sua storia da emigrato in Svizzera, quando un altro gli disse di salire che lo avrebbe aiutato ecc… e quando poi si ritrovò solo a bussare dietro una porta, sentiva che c’era qualcuno e che nessuno gli apriva.
Dobbiamo aver memoria di ciò che è stato, perché abbiamo bisogno di una speranza che si fa vera.
Noi questo lo crediamo e lo vediamo nel dono di Maria che ci offre il Figlio.
La devozione alla Madonna non deve essere solo un ricordo della festa nella nostra infanzia a Chiaravalle o in qualsiasi altro paese di provenienza.
È un legame vero che non si limita nel tempo passato ma è ora.
Mi piaceva quello che diceva santa Teresa di Liseux:”Quando prego mi capita di addormentarmi e trovo confortevole che Gesù forma nella sua piccola navicella e considera che i figli piccoli piacciono altrettanto ai loro genitori quando dormono e quando sono svegli”.
Non dobbiamo pensare che, a volte, c’è il dubbio, di una domanda:
”Se fossi rimasto a casa ecc..” Dio ci chiama a vivere la nostra vocazione in un confronto continuo. Anche mio padre è stato emigrato, proprio qui vicino, per tanti anni, lasciando i miei fratelli soli con mia madre, eppure tutto quel sacrificio mi ha aiutato a capire che stiamo lavorando insieme per un nuovo giardino che è il mondo, come api che portano il nettare su altri fiori.
Dio non ci abbandona mai. Guardiamo al passato, come a un viaggio carico di speranza e timore. Ora lo viviamo con quella certezza che non siamo qui per caso.
Viviamo ora quella carità di essere accanto a chi soffre la solitudine di sentirsi smarrito in una terra straniera.
Siamo cittadini del mondo e non del piccolo orto di casa. Da poco, anche noi abbiamo finito i festeggiamenti relativi alla festa della Madonna della Pietra, una festa alla conclusione della quale abbiamo voluto ricordare e pregare insieme agli emigrati.
Non possiamo costruire il futuro senza la conoscenza della storia del passato ma soprattutto con i piedi nel presente. Ci sono due tipi di politici (e politici lo siamo tutti): c’è chi è con la testa tra le nuvole, e quello è il politico utopico, colui che raccoglie anche più voti, perchè dice ciò che il popolo vuol sentirsi dire. c’è poi il politico realista, colui che sta con i piedi nel fango, ed è colui che nessuno ama, ma è colui che fa per il bene comune.
Ora più che mai Dio ci chiama ad essere la parte migliore della Calabria.
Questa mattina, mi sono soffermato su un’immagine che vedevo per strada, un padre che era zoppo e stava dietro al figlio che correva, mi sono posto questa domanda:”La vita si può vivere in tre modi”
1: il primo modo è quello più comune, ed è l’apprezzare la vita facendo il confronto: penso che nonostante tutto il fatto io sia zoppo, almeno mio figlio cammina.
2: il secondo è quello della fede, ringrazio Dio, perché anche se mi ha fatto zoppo, mi ha dato la Grazia di crescere mio figlio ed aiutarlo a camminare nonostante le mie difficoltà.
3: il terzo è il pensiero comune, mi limito alla sola domanda:”perché sono così?”