La piccola mano appoggiata sulla testa di uno dei Magi inchinato ad adorarlo. È il cuore dell’immagine scelta quest’anno per il Volantone di Natale di Comunione e Liberazione
Giuseppe Frangi
Il Bambino appoggia la sua piccola mano sulla testa canuta del re che si è inginocchiato ai suoi piedi: è il dettaglio che più di ogni altro colpisce e commuove in questa rappresentazione dell’Adorazione dei Magi dipinta da un anonimo maestro intorno al 1330 al Sacro Speco di Subiaco. Siamo nella Cappella della Madonna, un ambiente architettonico aggregato ad inizio XIV secolo a quello straordinario complesso sorto intorno alla grotta abitata da san Benedetto negli anni del suo eremitaggio, tra 497 e 500. Le pareti sono completamente affrescate con le Storie di Maria da due maestri di cultura molto contigua, che recenti studi avvicinano alla scuola umbra: veniva, infatti, da Perugia Giovanni, priore del monastero del Sacro Speco in quegli anni che precedono la grande peste del 1348. Nella parete a destra dell’altare sotto una rappresentazione dell’Annunciazione, troviamo in sequenza logica due riquadri con la Natività e l’Adorazione dei Magi. Tutt’e due sono ambientate sotto la protezione di una tettoia, retta su esili pilastrini di legno: quasi una metafora del ciborio che in tante chiese, specie medievali, copre e protegge l’altare e quindi il luogo dove Cristo si rende fisicamente presente con l’Eucarestia.
L’anonimo artista di Subiaco ha in mente un prototipo preciso: quello di Giotto alla Cappella degli Scrovegni, che nei riquadri relativi alla Natività erige un umile tempietto davanti all’apertura della grotta. Non erano passati trent’anni dalla conclusione del cantiere padovano ma evidentemente le novità di quel capolavoro erano tali da aver avuto presto una diffusione virale. Certamente il maestro di Subiaco aveva avuto modo di conoscere la soluzione escogitata da Giotto per l’Adorazione dei Magi, perché nella Cappella della Madonna replica la soluzione del maestro, girando la scena di 180 gradi. Arriva dal riquadro di Padova l’idea del re più anziano che si piega in ginocchio e bacia i piedi del Bambino, che è a sua volta tenuto tra le braccia da Maria. La quale è innalzata in quanto seduta su un trono a noi invisibile: in questo modo viene tracciata una linea diagonale che unisce i tre protagonisti della scena. Nella sua semplicità il maestro di Subiaco accentua questo motivo, attraverso una veduta più di profilo. L’effetto è quello di un insieme, dove le mani funzionano da tenerissimi anelli di congiunzione tra le figure. Partendo dal basso c’è quella del Re che porta alla bocca per baciarlo il piede del Bambino; poi ci sono quelle del piccolo Gesù, che con la destra accenna a un gesto di benedizione e con la sinistra accarezza la testa del Re; infine quelle della Madre che regge il Bambino e nello stesso tempo sembra accarezzarlo.
I grandi prototipi sono tali anche perché lasciano sempre uno spazio di libertà a chi li replica. È quello che accade nel passaggio di questa immagine da Padova a Subiaco, dove l’anonimo maestro aggiunge l’elemento dei gesti del Bambino, quando invece Giotto aveva presentato il piccolo Gesù completamente avvolto nelle fasce, corpo reale e saldamente presente. Al cospetto della solidità di quel modello, il Bambino sembra qui ritagliato nello spazio dell’affresco con una grazia gotica. Ma stante che il Maestro gli ha lasciato le mani libere può farci commuovere con quel gesto imprevisto, tenero e semplice. Lo possiamo vedere come una prima forma del suo sentimento di pietà che abbraccia tutti gli uomini – re compresi – di cui parla don Giussani nel brano che affianca questa immagine.
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