venerdì, 22 Novembre 2024
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La «genialità pedagogica e teologica» di Luigi Giussani.


Tutto inizia nella “cattolica” Italia degli inizi anni Cinquanta: Giussani vi constata la sostanziale lontananza dei giovani dalla fede. La sua diagnosi è che all’origine vi sia una carenza di proposta e di metodo, una crisi dell’educazione e degli educatori. Di qui la decisione di abbandonare lo studio della teologia e di insegnare religione nelle scuole superiori. Riletta settant’anni dopo, questa diagnosi è ancora attuale, conferma Di Martino: «In modo oggi più evidente, direi. Occorre però sottolineare che quando Giussani parla di “crisi dell’educazione” non si riferisce anzitutto a modalità pedagogico-pastorali o a tecniche di comunicazione. La questione educativa chiama in gioco gli interrogativi fondamentali: che cos’è il cristianesimo? In che modo si comunica? Perché dovrebbe ancora interessare l’uomo contemporaneo?».

Il Servo di Dio era ben consapevole, a metà del secolo scorso, della forza – apparente – della Chiesa, da una parte, e della debolezza incipiente del cristianesimo nella società, dall’altra. O il cristianesimo era da considerarsi superato – ipotesi che Giussani respingeva – o bisognava interrogarsi sul modo di proporlo. Ecco perché alla base dell’esperienza che conduce a CL ci fu una questione di metodo. Quell’impostazione perdura «perché alla radice, per Giussani, la questione del metodo si riconduce all’avvenimento dell’incarnazione, al contenuto stesso dell’annuncio: Dio si è fatto carne nel seno di una ragazza, è entrato nel mondo come uomo, come una realtà incontrabile, frequentabile. Questo è il “metodo” che Dio ha scelto per rispondere all’anelito dell’uomo, per salvarlo».

Nella seconda metà degli anni Cinquanta Giussani entra perciò nella scuola parlando di Cristo, proponendo il cristianesimo come avvenimento, incontro, esperienza. Se il cristianesimo è un avvenimento presente, incontrabile oggi, di esso vi può essere esperienza in senso proprio, pieno, integrale: «Ciò ebbe un grande impatto – ricorda Di Martino – e rappresenta tuttora il punto cruciale. Nel cristianesimo come avvenimento ed esperienza, riprendono valore e vigore, pregnanza esistenziale, le grandi parole che caratterizzano il cammino cristiano, il metodo permanente di educazione alla fede, rilanciate da Giussani (incontro, comunità, autorità, libertà, sequela, verifica, missione, per citarne alcune)».

Educare significa per Giussani, «introdurre un individuo “alla realtà totale”. Per perseguire tale obiettivo è anzitutto necessaria una proposizione adeguata della tradizione, quale vettore di una ipotesi esplicativa della realtà – sottolinea il curatore dell’opera –, senza cui il bambino e poi il giovane non possono entrare in rapporto con essa. In secondo luogo occorre l’incontro con qualcuno in cui l’ipotesi di significato diventi proposta viva e persuasiva, venga cioè offerta nelle sue ragioni, mostrata nella sua capacità di corrispondere alle esigenze ed evidenze umane costitutive e di illuminare il presente esistenziale. È ciò che Giussani chiama «autorità», «presenza autorevole»: la sequela a essa è la via dello sviluppo della propria originale identità. Ma, terzo fattore, bisogna che l’ipotesi sia verificata da chi la riceve, altrimenti essa non diventerà mai convinzione e la si abbandonerà o la si terrà irrazionalmente».

Compito di chi educa, prosegue il docente, «è suscitare nel giovane l’impegno a una sperimentazione personale della proposta, cioè ad affrontare i problemi cui la vita lo espone in base all’ipotesi di significato “vista” e ricevuta attraverso la presenza autorevole, per verificarne la validità. Si colloca qui, nella sua drammaticità, il quarto fattore: il “rischio educativo”, che mette alla prova la posizione umana dell’educatore, poiché la verifica implica necessariamente la libertà di chi la compie, con un risultato mai garantito a priori. Se si vuole educare, occorre amare la libertà dell’altro fin nel rischio.

Il metodo di Giussani, per Di Martino, è attuale perché «il cuore del metodo è l’annuncio dell’avvenimento di Cristo, un avvenimento contemporaneo, che ha la forma di un incontro umano. Si incontra il Fatto cristiano imbattendosi in persone che questo incontro hanno già compiuto e la cui vita da esso, in qualche modo, è stata già cambiata. Anche l’uomo digitale può essere sorpreso da questo avvenimento, che si propone alla sua sete di vita e di significato, esattamente come Zaccheo duemila anni fa».
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