Domenica scorsa abbiamo meditato sulla necessità di vivere la ricchezza che è Dio e di non seguire le ricchezze di questo mondo:
”Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Oggi la Liturgia della parola ci propone una parabola chiamata anche la “La parabola del ricco epulone”, per aiutarci a capire il danno della ricchezza che si chiude in se stessa e che non viene, invece, vissuta come occasione di carità verso il povero.
Dio ama i poveri e Gesù lo sottolinea con una differenza sottile. Il povero ha un nome “Lazzaro” il ricco, invece, non viene mai chiamato per nome.
È una parabola molto semplice e, proprio questa semplicità, non lascia come si usa dire, “risposte aperte” dove, cioè, puoi dare anche altre interpretazioni soggettive.
Ci sarà un giudizio e verremo giudicati sulla nostra carità o meno.
Dopo il giudizio non si può tornare indietro. Usando il linguaggio legislativo, non c’è una trattazione o un primo e secondo appello”. La parabola è molto chiara: ”Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
Perché viviamo la carità o semplicemente la caritativa, se non perché nel povero che incontriamo, come nel povero Lazzaro della parabola, ha tanti volti nella nostra vita. Ci interpella a condividere il cammino alla santità.
“Condividere” appunto perché, insieme all’altro, sono chiamato a camminare verso la santità.
Si riportano spesso tante frasi dei santi della carità e, prestando una certa attenzione, il leggere tra le righe (come si deve fare con il vangelo) che si riportano solo quelle diremmo ”etiche o civili” cioè uguali per tutte le religioni o anche per non credenti.
Eppure c’è una testimonianza concreta lasciata da santa Madre Teresa di Calcutta che ci fa capire il perché della caritativa:
”Noi non siamo assistenti sociali, non siamo insegnanti, né infermiere, né dottori: noi siamo suore religiose. Noi serviamo Gesù nei poveri. La nostra vita non ha ragioni o motivazioni diverse da questa. E questo è proprio il punto che tante persone non capiscono».
Servire Gesù nei poveri, il servizio, cioè, offrirsi per l’altro.
In questa settimana a Lourdes si sta svolgendo il pellegrinaggio UNITALSI e riporto sempre nel mio cuore il saluto che ci facciamo noi barellieri e dame unitalisiani/e:”Buon servizio”.
Non chiudiamo la porta del cuore al povero “Lazzaro” che incontriamo lungo la via del nostro cammino perché ogni povero è anche il riflesso di te stesso, perché anche tu sei povero.
“Non c’è nessuno così ricco che non abbia bisogno di ricevere, nessuno così povero che non abbia qualcosa da dare”.(Don Oreste Benzi)