venerdì, 22 Novembre 2024
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omelia XIX Domenica del tempo ordinario Anno c (Domenica 7 agosto 2022)


In queste ultime domeniche ci siamo soffermati sulla necessità della povertà, sulla povertà dello spirito, cioè, sul non rimanere legati alle cose di questo mondo ma a vivere in attesa dell’incontro con Cristo.
La prossima settimana festeggeremo la festa dell’Assunzione di Maria in cielo, festa in cui celebreremo il dono della gioia del paradiso che Maria ci ha preceduto e che ci indica la via.
Il Vangelo di oggi riporta la necessità dell’attesa:
” Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”.
Le vesti strette, cioè, legate con la cinta, sono segno del lavoro, quindi, in attesa non nel senso statico ma in movimento, nella carità e con la luce accesa: Questo il segno di testimonianza per la Comunità.
Come diceva san Giovanni Bosco:
”Bisogna lavorare come se dovessimo vivere mille anni e vivere come se dovessimo morire oggi”.
Perché l’attesa e chi attendiamo?
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”
La beatitudine, questo dono che è il paradiso viene offerto a chi vive la fede.
Non cadiamo nell’errore di pensare che misericordia significa, nello stesso tempo, giustificazione del male.
Essere uomini di fede, significa vivere la vita come lo ha fatto la Madonna.
“Per tutti i discepoli di Cristo, Maria è il modello per eccellenza della vita cristiana”. (San Papa Giovanni Paolo II)
Lei ha vissuto quell’attesa anche nel dramma della croce.
Vivere la fede sapendo ciò che verrà, come se fosse tutto un calcolo, come se fosse un andare avanti e poi un tornare indietro, non è più fiducia, non è affidarsi all’altro.
Cercate di capire questo: Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”.
Molte volte capita proprio di discutere su questo argomento, quando usiamo espressioni del tipo:”Ma Dio cosa fa, Dio dov’è?”
Mi viene sempre in mente quel bellissimo passaggio del libro di Dostoevskij nel libro “I fratelli Karamazov”
Tu non scendesti dalla croce,
quando per schernirti e per provocarti ti gridavano:
“Scendi dalla croce, e crederemo che sei proprio tu!”.
Non scendesti perché, anche questa volta,
non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo,
perché avevi sete
di una fede nata dalla libertà e non dal miracolo.
Avevi sete di amore libero,
e non dei servili entusiasmi dello schiavo
davanti al padrone potente
che lo ha terrorizzato una volta per sempre.

La libertà del credere è il vivere la fede in tutto ciò che è veramente..
Anche la Madonna con lo sposo san Giuseppe, hanno vissuto questo dono unico.
Una comunità familiare ha costruito con amore un legame di vera appartenenza l’uno per l’altra.
La libertà della fede vive e costruisce un cammino, perché poggia il suo fondamento su una delle tre virtù teologali: La speranza.
Concludo con un pensiero di M.L.king:
”Dobbiamo accettare la delusione che è limitata, ma non dobbiamo perdere l’infinita speranza”.