Nella liturgia della Parola di oggi, sia la prima lettura, sia il vangelo, ci invitano a riflettere sul senso del pastore e non su cosa egli deve fare, come se fosse un mestiere o peggio, come lo si vuol far passare, un “manager del sacro”.
Il pastore guida il gregge.Il termine gregge non significa popolo sottomesso, ma Comunità di fedeli che vivono come Comunione l’ideale dell’incontro con Cristo.
Geremia lo sottolinea fortemente:
”Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno”.
Questo “pascolo” è l’amore della Comunione con il padre.
Il pastore difende il popolo, lo guida e lo sorregge.
C’è un inizio importante da sottolineare:
”Un gregge che ha acquisito la consapevolezza di essere popolo di Dio”. Senza questa consapevolezza il pastore più che guida, per portare un paragone biblico,”Sarebbe come il ritrovarsi di fronte alla Torre di Babele dopo le macerie”.
Cosa fa precisamente il pastore?
Lo indica ciò che abbiamo letto del profeta Geremia:
” Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto”
Il pastore è colui che ha riconosciuto nella sua vita questo “nuovo germoglio”, il verbo che si è fatto carne, questa Persona che è Cristo e che è divenuto la Sua compagnia vitale.
Egli si mette in gioco con tutto se stesso perché ha a cuore il bene dell’altro e non che l’altro stia bene nel senso materiale.
“Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore e si mise a insegnare loro molte cose”.
Egli vive questa compassione.
Un pensiero di Etienne Gilson fa da sintesi a tutto ciò che abbiamo ascoltato:”La Chiesa non ha la funzione di impedire al mondo di passare, ma di santificare il mondo che passa”.
Questa è la compassione vera di un pastore:Educare a saper guardare, a porre il nostro sguardo verso Colui che ci ama, che non ci vuole bene, ma che ama ciò che siamo e per come siamo.
Non cambiare – padre Antony De Mello
Per anni sono stato un nevrotico. Ero ansioso, depresso ed egoista. E tutti continuavano a dirmi di cambiare. E tutti continuavano a dirmi quanto fossi nevrotico.
E io mi risentivo con loro, ed ero d’accordo con loro, e volevo cambiare, ma non ci riuscivo, per quanto mi sforzassi.
Ciò che mi faceva più male era che anche il mio migliore amico continuava a dirmi quanto fossi nevrotico. Anche lui continuava a insistere che cambiassi.
E io ero d’accordo anche con lui, e non riuscivo ad avercela con lui. E mi sentivo cosi impotente e intrappolato.
Poi, un giorno, mi disse: «Non cambiare. Rimani come sei. Non importa se cambi o no. Io ti amo così come sei; non posso fare a meno di amarti».
Quelle parole suonarono come una musica per le mie orecchie: «Non cambiare. Non cambiare. Non cambiare… Ti amo».
E mi rilassai. E mi sentii vivo. E, oh meraviglia delle meraviglie, cambiai!
Ora so che non potevo cambiare davvero finché non avessi trovato qualcuno che mi avrebbe amato, che fossi cambiato o meno.
È così che mi ami, Dio?