Il giorno dell’incidente meditavamo il passo del vangelo della resurrezione della fanciulla della figlia del sacerdote Giario. Come comunità, abbiamo invocato e abbiamo sperato che quel momento della resurrezione della fanciulla, quel “talita kum – fanciulla io ti dico alzati”, avvenisse anche per il nostro piccolo Antonio.
Oggi abbiamo ascoltato il vangelo della resurrezione del figlio della vedova di Nain e si avverte la passione che Gesù ha per la donna, madre di un unico figlio che vive quel dolore immenso che noi possiamo solo condividere nel nostro cuore. Quel silenzio di lei, che stava lì a guardare quell’uomo, Cristo, che avrà visto forse per la prima volta quel giorno. porta con se’ la domanda del perché avviene tutto questo.
Come abbiamo meditato in quella domenica, anche oggi viene riproposto il passaggio di don Giussani che spiegava questo brano del Vangelo dicendo:”Donna, non piangere!», «Tu, non piangere!», «Non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!».
Questa compagnia siamo noi che abbiamo come adottato il nostro piccolo Antonio.
L’immensità del dolore si pone di fronte al Mistero che attende una risposta.
In questa tristezza noi ci poniamo in silenzio.
Nei nostri cuori abbiamo un muto dolore perché la domanda e la paura si ritrova a bussare a noi cuori.
Cosa ci insegna questo momento, se non la gravità di ciò che possiamo ritrovare sempre dopo la curva della strada e quella fermata che ci chiude alla vita?
Non cadiamo nell’errore di vivere come se a noi non potrà mai capitare perché , in fin dei conti, non siamo diversi. La vita è un porsi nella fiducia della maturità non solo in se stessi, ma anche in chi viene dall’altra parte.
Una città perché sia comunità, non ha bisogno di monumenti o targhe che ci ricordino ciò che siamo, ha bisogno di una memoria del cuore, ha bisogno di una vera conversione, e smetterla con queste gare, ho questa ricerca di esibizionismo.
Questo momento mette in gioco tutti noi e ci riporta alla memoria quel dolore che per tanti di noi rimane come ferita aperta nel ricordarci la fugacità della vita.
Da pochi giorni abbiamo festeggiato san Tommaso Apostolo, il discepolo che voleva toccare per credere. Anche noi desideriamo più che mai credere che Dio non ci lascia soli in balia di questo dolore.
Abbiamo bisogno di segni, ed allora c’è li inventiamo.
Ed ecco che invece, Cristo si offre a noi nella compassione, piange per l’amico Lazzaro, si commuove per la fanciulla morta, vive con la vedova di Nain il dolore immenso di una madre con quella passione unica di una compagnia che solo in Lui riscopriamo come vera e totale.
«Gloria Dei vivens homo». Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: le foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini”. (Don Giussani)
La Gloria di Dio si porta a noi. Come noi, si è fatto carne e Bambino la notte di Natale, perché desidera che l’uomo lo riconosca come tale. Lo vivi presente nella storia.
La risposta di Cristo di fronte alla morte di Antonio, ci aiuta a capire che non è una tragedia:” La tragedia è quando una costruzione frana e tutti i sassi e i pezzi di marmo e i pezzi di muro, crollano. E tutto nella vita diventa niente….E questo è tragico. La tragedia è il nulla come traguardo, il niente, il niente di ciò che c’è. (don Giussani)
Viviamo il dramma della fede che si domanda e che si rimette in gioco con tutto se stessa e quell’ attesa di riscoprirsi amati da un Altro.
Siamo amati da Dio che si pone accanto a noi e lascia che il silenzio ci suggerisca quell’amore che può non solo consolare, ma vivere la vita del dono che ora è più vero che mai, quel dono che ora immaginiamo nella festa in cielo del piccolo Antonio che starà celebrando l’unica e completa comunione con Gesù.
Suoniamo le campane a festa il giorno della prima comunione, ed anche oggi lo abbiamo fatto, per ricordarci questa gioia vera che si starà celebrando in cielo.
La fede in Lui è presente più che mai. Perché il dolore diventi gioia, abbiamo bisogno di essere carità.
Qualcuno scriveva:”A nulla è valsa la preghiera per il piccolo Antonio”.
La preghiera non è un accendere il tasto della luce, ma è quel filo che ti conduce alla luce della vita, quella corrente che tu non vedi, ma senza non ci sarebbe quel cammino che ti porta al Mistero. Perché la vita stessa, volenti o nolenti è sempre un mistero.
Tanti in questi momenti diranno:”Dio non esiste, perché succedono queste cose”. Ecco, invece, come Dio si è fatto risposta: Anche il segno del dono degli organi è segno dell’amore per la vita e non un qualcosa che viene scambiato, né un dono che viene offerto, ma è carità perché è condivisione.
Impariamo dalla Madonna che è Madre!
Come ogni madre, cosa fa se non condividere se stessa con la vita dell’altro?
Eleviamo alla Madonna, la preghiera di essere e di vivere la speranza!
Concludendo con un passo della preghiera di Madre Anna Maria Canopi: “Vergine purissima,innocenza del mondo,tu sei l’aurora che si dischiude ogni mattina davanti al nostro sguardo; con te ogni cosa rinasce limpida e buona,e in ogni cuore fiorisce la speranza”.